Giuseppe Iasparra

Come viene raccontato il riuso dai mezzi di informazione? Abbiamo rivolto questa domanda a Pietro Luppi, portavoce di Rete ONU: “Sui mezzi di informazione da un lato c’è la tendenza ad ignorare o criminalizzare le attività di riutilizzo reali e dall’altro ad enfatizzare pratiche di riuso di tipo ludico-culturali, poco significative dal punto di vista generale”.

“Succede spesso, infatti, che vengano pubblicizzate ‘giornate’ o iniziative ‘cool’ sul riuso dove alla fine dei conti si riutilizzano solo pochi kg di oggetti ma si ottiene molta visibilità sui media. Se andiamo a cercare in rete – continua Pietro Luppi – rischiamo di farci un’idea di buone pratiche, completamente deformata. Può accadere così che territori, località, o quartieri con molte micro-imprese familiari o operatori ambulanti, che sommati tra di loro, in questi stessi territori a volte fanno migliaia tonnellate di riutilizzo, siano completamente assenti dalle cronache dei giornali. Oppure quando se ne parla, viene fatto solo in termini negativi per questioni legate a problemi, informalità, abusivismo, etc”.

Capita che vengano accentuate iniziative poco significative. “In passato – racconta il portavoce di Rete ONU – è stato molto enfatizzato il caso di Goteborg. Tutti parlavano di ‘modello svedese’. Noi siamo andati a vedere come funziona il ‘modello Goteborg’ e ci siamo resi conto che non si sostiene economicamente e non produce risultati ambientali particolarmente importanti. E’ una realtà sicuramente positiva, ma prima di considerarla un modello di acqua ce ne passa. In Italia ci sono realtà molto più performanti ma i media vanno a ricercare il modello svedese”.

Si corre così il rischio di sovraesporre certi esempi che producono luoghi comuni, come nel caso del riuso in Nord Europa. “E’ passato il messaggio che la Svezia è all’avanguardia perché ultimamente ha anche fatto un centro commerciale improntato sul riuso. Ma non è così. Anzi, In Italia si fa più riutilizzo che in Nord Europa. E in Paesi come Bulgaria e Romania si fa più riutilizzo che in Italia. Così come in Africa si fa più riutilizzo che in Europa. Il riutilizzo è proporzionale alla povertà dei territori. Questo è un dato economico argomentabile e dimostrabile. Quando in un territorio il potere d’acquisto è basso – spiega Pietro Luppi – a fronte di un’alta domanda di beni usati esiste un’offerta molto scarsa perché gli indici di consumo e di rotazione di questi beni sono bassi. Una dinamica che porta i prezzi dell’usato a essere molto più alti”. “In Paesi più ricchi (Francia, Svezia, Inghilterra, Austria, Germania), al contrario, c’è molta disponibilità di usato perché c’è molto consumo ma i prezzi della seconda mano sono bassissimi perché non c’è abbastanza domanda. Sono talmente bassi – commenta il portavoce di Rete ONU – che tanti rigattieri di altri posti (italiani, ma soprattutto dell’Europa orientale, vanno a fare incetta di beni usati in queste nazioni ricche per poi portarli nel loro Paesi d’origine. Tornati a casa riescono a rivendere questi oggetti ad un prezzo più alto ripagando il costo del trasporto e guadagnando qualcosina. Nascono così i fenomeni di export dell’usato”.

In questo panorama l’Italia, tuttavia, presenta un certo equilibrio. “Nel nostro Paese – ricorda Luppi – ci sono indici di consumo abbastanza alti però c’è anche alta domanda di riutilizzo. L’usato e il riuso è un settore economico vivace tant’è che negli ultimi tempi si è sviluppato molto il fenomeno dei negozi in ‘conto terzi’ che sono quelli che a livello quantitativo fanno i numeri più alti. In Italia, proliferano anche gli ambulanti ma si sono estinte le botteghe dei rigattieri tradizionali: questi commercianti tuttavia potrebbero aver convertito la loro attività in forma ambulante (che ha meno costi fissi) o essere diventati ‘contoterzisti’ incrementando la loro scala di attività. Di tutto ciò, sui mezzi di informazione nostrani non se ne parla”.

“Questo fenomeno non è colto in pieno neanche da chi dovrebbe conoscere da vicino la situazione” aggiunge il portavoce di Rete ONU. “Le Camere di Commercio, che dovrebbero avere il polso della situazione, forniscono numeri che sono corretti in sé ma non sono indicativi dell’espansione o della contrazione del settore. Non collegano infatti il fenomeno della diminuzione delle botteghe con il fenomeno dei contoterzisti che hanno maggiori supercifici espositive e volumi di affari: registrano le chiusure ma non valutano che le nuove aperture potrebbero superare di molto in termini di volumi e personale impiegato la contrazione dei rigattieri”. E così, mentre il riuso aumenta, alle Camere di Commercio risulta una flessione. Gli ambulanti dell’usato, invece, non sono nemmeno inclusi nei conteggi. “Non riuscendo a decodificare questa realtà vengono fuori comunicati stampa che non rispecchiano la situazione e lo stesso vale per i successivi articoli di stampa sui grandi giornali. Così in questa narrazione distorta – conclude Luppi – capita che anche chi deve programmare (il decisore pubblico) possa essere influenzato e destini risorse economiche a iniziative effimere che non incidono sulla realtà ma vanno solamente ad alimentare questa percezione errata del mondo del riuso”.