Giuseppe Iasparra
Iniziamo il viaggio tra i “Volti del Riuso” partendo da Alicucio, laboratorio artistico di Arcangelo Favata.
La carriera di questo artista inizia in Sicilia. Da studente frequenta l’Istituto d’Arte che gli permette di acquisire le nozioni di base nell’intaglio e nell’intarsio dei mobili. A Catania frequenta poi l’Accademia delle Belle Arti dove si specializza in scultura. Sceglie di sviluppare anche il tema del design arrivando alla realizzazione della tesi dal titolo Dal rifiuto all’amore per le cose. Nel 2009 il trasferimento a Torino. Una volta arrivato sotto la Mole inizia ad insegnare scultura e in parallelo apre il laboratorio Alicucio. “Il nome arriva dalla Sicilia ed è un vezzeggiativo che fu dato ad un bambino salvato nelle acque siciliane durante i primi sbarchi dal Nord Africa” ricorda Arcangelo Favata.
“Nel laboratorio – continua l’artista – sono racchiuse le mie esperienze legate alla scultura e al design. L’obiettivo è realizzare oggetti unici attraverso materiale di recupero ma anche partendo da vecchi oggetti a cui le persone sono legati affettivamente e faticano a buttare”. Una peculiarità del lavoro di Arcangelo Favata è quella di valorizzare i segni del tempo degli oggetti senza trasformarli. L’oggetto viene lasciato nel suo “vissuto, nella sua patina che ha acquisito durante gli anni della sua funzione”. E se gli oggetti hanno ormai assolto la loro funzione fino alla fine e sono praticamente distrutti, Arcangelo cerca di ri-assemblarli ridandogli una nuova funzione.
Cosa c’è alla base di questa esperienza? “Quello che faccio – spiega l’artista – lo vedo come un aspetto ludico. Alla base del mio lavoro c’è il gioco. È un po’ come un puzzle che si ricompone. Tutti gli oggetti si trasformano e si evolvono. Non sono statici. A me interessava questa trasformazione. E vederci anche altro – aggiunge -. Un oggetto può avere più significanti ed è possibile vederci più opportunità di utilizzo”.
In un percorso artistico possono esserci momenti che spingono ad intraprendere una certa strada. “Un periodo significativo – ricorda ancora Arcangelo Favata – è stato durante la mia esperienza a Catania. Ricordo le spiagge libere che si riempivano di rifiuti. Questo mi ha dato un input. Scelsi allora di fare un’installazione per una mostra dove portai all’interno della galleria un manichino, l’Uomo-Rifiuto, composto da tutti quegli scarti che si potevano trovare nelle spiagge. Ai visitatori l’opera poneva la domanda: chi è l’uomo? Chi è il rifiuto? Gli scarti per me hanno una dignità e possono essere valorizzati al meglio. Da lì sono partito con un processo di azioni e realizzazioni di oggetti basandomi su quest’aspetto di rinascita”.
Abbiamo chiesto, infine, ad Arcangelo Favata qual è il valore più importante di questo lavoro. “L’unicità di ogni oggetto per renderlo personale per chi lo acquista o lo riceve. A quel punto sarà infatti più difficile disfarsi di un oggetto o vederlo come un qualsiasi altro prodotto di uso e consumo quotidiano. Si crea infatti più empatia e più intimità tra l’oggetto e la persona che lo possiede”.