di Monica Bardi

Gli oggetti popolano la letteratura e anche la storia dell’arte, se si pensa per esempio alle bottiglie, alle caffettiere e alle ciotole di Giorgio Morandi che sanno esprimere un senso di assoluta solitudine esistenziale. Molti ricordano certamente l’Odradek di cui parla Kafka nel racconto La preoccupazione del padre di famiglia:

“A prima vista sembra un rocchetto piatto di filo, a forma di stella, e in effetti sembra anche avere del filo arrotolato… non è però solo un rocchetto, ma dal centro della stella spunta un piccolo bastoncino obliquo, e a questo bastoncino un altro se ne agginge ad angolo retto”.

L’Odradek sale e scende le scale, si sposta da una casa all’altra, intrattiene conversazioni surreali e sembra vivere di una vita propria e indecifrabile. Probabilmente, sostiene lo scrittore, gli sopravviverà, e questa idea gli procura un certo fastidio e un senso d’angoscia. Un sentimento che Kafka condivide con Borges, che scrive in una sua poesia, La cosa:

“Il bastone, le monete, il portachiavi,/ la docile serratura, le tardive / note che non leggeranno i pochi / giorni / che mi restano, le carte e la / scacchiera, / (…) / quante cose, / lime, soglie, atlanti, coppe, chiodi, / ci servono come taciti schiavi / cieche e stranamente segrete! / Dureranno più in là del mostro oblio; / non sapranno mai che ce ne siamo / andati”.

La sopravvivenza degli oggetti e il loro riuso (potremmo dire con un termine più vicino a noi il loro “riciclo”) è anche al centro di un interessante saggio di critica letteraria, Gli oggetti desueti nelle immagini della letteratura recentemente ripubblicato da Einaudi con un’introduzione di Piero Boitani. L’idea sottesa al saggio è che la materia si replica incessantemente in varianti progressive. Questa rigenerazione continua produce dei relitti, dei detriti, degli scarti che la letteratura raccoglie, differenzia, rielabora e deposita in un archivio dell’immaginario. La mappa che Orlando ricostruisce degli oggetti desueti, abbandonati, scartati è un percorso fatto di continue biforcazioni, in cui vengono fissate dodici categorie, come il logoro, il realistico, il memore, lo sconnesso, il sinistro, il terrifico… Quasi una composizione musicale che però ha la consapevolezza di essere parziale e incompleta. La letteratura, per Francesco Orlando si oppone alla produttività della civiltà moderna perché recupera ciò che è scartato, degradato, povero, dando eco alla dissonanza e alle contraddizioni dell’esistenza. Come giustamente spiega Claudia Zunibo, “cosi all’opposto, l’oggetto spogliato della propria funzionalità nell’erosione del tempo si fa fantasma di se stesso, scheletro di realtà nell’assenza di significato. La letteratura recupera e riveste di significato il perduto, fa realtà con le rovine dell’esistenza”.