Giuseppe Iasparra

Si è svolto nell’ambito di Ecomondo 2019 il convegno “The Waste Land. Il ruolo strategico della preparazione al riutilizzo dei rifiuti”. Abbiamo raccolto diversi contributi da parte dei relatori che hanno partecipato all’appuntamento. Partiamo con Daniele Carissimi, avvocato esperto in discipline amministrative e ambientali, che ha ricordato la definizione di preparazione al riutilizzo: “La preparazione per il riutilizzo è ormai nota nella direttiva comunitaria del 2008, recepita nel 2010 nel nostro ordinamento. Si tratta di quelle operazioni che vengono svolte sui rifiuti: in questo c’è già un passaggio giuridico importante, nel quale qualsiasi oggetto è già considerato un rifiuto. Quindi si può fare preparazione per il riutilizzo solo nei confronti dei rifiuti. Ciò significa e sottintende che i soggetti che compiono queste operazioni di trattamento devono essere soggetti autorizzati a farlo. Vuol dire quindi che c’è un percorso autorizzatorio che li abilita a trattare un rifiuto”. Quali sono le operazioni che vengono ricomprese nella definizione di preparazione al riutilizzo? “Sono semplici operazioni di controllo e pulizia che consentono di verificare che un rifiuto è in grado di mantenere quell’utilità e quel servizio che era in grado di fare fin dall’inizio come bene originario. Queste operazioni tuttavia non sono state autorizzate sufficientemente nel nostro ordinamento, nella misura in cui sono sempre mancati i decreti per singola tipologia di rifiuto (servono ad esempio i decreti sugli ingombranti, sui rifiuti tessili) dove vengono indicati criteri e condizioni per far tornare i rifiuti ad essere un bene. In questi anni sono mancati questi provvedimenti. Per cui ci sono solo alcune aziende che svolgono questa attività sulla base di autorizzazioni che una singola Provincia ha inteso emanare senza una norma di riferimento”.

Stefania Tesser, Osservatorio Regionale Rifiuti ARPA Veneto, ha spiegato: “La preparazione al riutilizzo al momento non avuto i decreti attuativi che servivano a regolare al meglio questa attività. Quindi sono anche difficili le interpretazioni che poi fa l’ente di controllo nei territori quando va a fare i controlli negli impianti. È sicuramente necessario che gli impianti per la preparazione al riutilizzo abbiano un decreto attuativo, siano regolamentati e abbiano un’autorizzazione. Si tratta di impianti che devono lavorare in un regime specifico dove vengono richieste competenze agli operatori, regole da seguire. Ma devono lavorare in un quadro che deve essere più semplificato, in modo che anche l’ente di controllo riesca a verificare i requisiti per una corretta gestione, alleggeriti da tutta quegli appesantimenti che possono rendere complicata questa attività di preparazione al riutilizzo. Il rischio che si corre, infatti, è che ci siano delle autorizzazioni che hanno delle prescrizioni che sono troppo pesanti per impianti che fanno preparazione al riutilizzo. Si tratta di operazioni leggere, ad esempio nel caso di restauro o semplici riparazioni di mobili e arredi. E questi impianti rischiano di essere messi sullo stesso piano di quelli che trattano rifiuti pericolosi. A differenza di quest’ultimi, nel caso della preparazione al riutilizzo, si tratta di rifiuti ‘temporanei’ che torneranno ad essere presto un bene”.

Al convegno è intervenuto anche Filippo Brandolini, vicepresidente Utilitalia: “In primis occorre ragionare sul ruolo della cooperazione sociale in termini generali, non solo nel settore dei rifiuti. La cooperazione sociale produce un doppio prodotto: quello ambientale ma anche occupazionale coinvolgendo persone socialmente svantaggiate. In generale come sistema, tradizionalmente c’è una forte relazione tra la gestione dei rifiuti e la cooperazione sociale. Ben venga quindi questo ragionamento. Dobbiamo evitare però che l’Italia abbia un eccesso di normative, fatte pensando di poter combattere in questo modo l’illegalità. Con più norme non si favoriscono le attività legali ma si complica la vita di chi opera in maniera trasparente. Occorre quindi definire norme chiare che diano garanzie a tutte le parti. Sotto questo profilo c’è già un impianto normativo, si tratta di fare i decreti attuativi e usare le norme esistenti. Come Utilitalia siamo disponibili ad aprire un tavolo di confronto con tutti i soggetti interessati, nel mondo della cooperazione sociale e non solo, per stabilire modalità operative e proposte da fare alle Istituzioni per far partire la preparazione al riutilizzo, che di fatto non è mai partita, pur essendo al secondo livello della gerarchia rifiuti”.

Alberto Pizzocchero, Rete 14 Luglio, ha aggiunto: “Il lavoro che è stato fatto in preparazione dalla Rete 14 Luglio, è nato dal voler mettere a fattor comune tutte le esperienze delle diverse cooperative che affrontano il problema di non saper come muoversi in questa situazione e come trovare lo strumento per farsi autorizzare. Occorre quindi iniziare a studiare quale potrebbe essere il modello comune autorizzativo. Ben venga il Tavolo di lavoro che un player come Utilitalia si è messa a disposizione di fare. Rete 14 Luglio si propone di diventare il portatore di interesse principale della preparazione al riutilizzo: soprattutto perché ne ha la competenza, lo fa già ove possibile nel rispetto delle norme, e lo fa in maniera chiara e trasparente. Le realtà che fanno parte della Rete 14 Luglio danno sviluppo a tutto il settore sociale con tutte le sue micro-competenze tipiche della cooperazione sociale: riparare, restaurare potrebbe sicuramente essere il lavoro che le cooperative già fanno ma occorre concretizzare quel quadro autorizzativo della preparazione al riutilizzo di cui se ne parla dal 2010 ma che ancora non ha trovato luce”.

Tito Ammirati, Presidente Rete 14 Luglio, ha ricordato infine le dimensioni di questa realtà: “Una rete costituita da 23 organizzazioni dislocate in 7 regioni d’Italia. Un fatturato in servizi ambientali di vario tipo intorno ai 100 milioni che dà occupazione a 2.150 persone (di cui il 35% circa arriva da situazioni di marginalità). Tito Ammirati sottolinea il valore del codice etico di cui si è dotata la Rete 14 Luglio: “Per noi il valore primario da difendere, al quale non rinunciare, è la reputazione della Rete. In quest’epoca così avvelenata e così squalificata dalle vicende romane (Mafia Capitale NdA), abbiamo deciso di metterci insieme per cercare di dimostrare che esiste un mondo della cooperazione sociale che riesce a fare seriamente la propria attività. Questo codice ci ha permesso di andare a chiarire alcuni aspetti nel regolamentare gli ingressi di chi può partecipare o meno alla Rete 14 Luglio. Ci siamo trovati ad Ecomondo per rilanciare un’opportunità, come accadde 30 anni fa con i servizi di raccolta differenziata (in particolare con i servizi porta a porta). A Torino nel 2020 il solo servizio Cartesio compie 25 anni. È necessario fare e faremo – annuncia in conclusione Ammirati – un momento pubblico per raccogliere gli attori e ragionare e immaginare cosa accadrà”.