Un grazie a chi c’è stato e qualche breve riflessione che desideriamo condividere.
In attesa che i semi gettati il 16 giugno inizino a germogliare

Sono passate due settimane dall’incontro “I volti del riuso”, promosso dal Tavolo del riuso a Torino, lo scorso 16 giugno. Per il Tavolo del riuso è stata la prima uscita pubblica, la prima occasione in cui abbiamo potuto confrontarci con altri sui temi che ci interessano.
Nei prossimi giorni prepareremo un documento riassuntivo da condividere con tutti coloro che sono intervenuti, avremo così modo di raccogliere i loro feed-back e, anche grazie a questi, potremo individuare i temi su cui continuare il nostro lavoro di riflessione.
Nel frattempo va avanti la sperimentazione del Cit ma Bun, l’azione di raccolta di piccoli oggetti che hanno ancora un valore e che possono essere commercializzati. L’obiettivo, lo ricordiamo, è di generare un flusso di beni usati che abbiano ancora un valore commerciale, i quali, rivenduti a basso prezzo, possano soddisfare le esigenze di un mercato con scarsa capacità di spesa e sostenere il lavoro di chi si occupa di raccogliere, selezionare, stoccare e commercializzare.

Alcune riflessioni però in questi giorni sono emerse, e vogliamo qui condividerle pubblicamente. “I volti del riuso” è stata una proposta piuttosto atipica, rispetto al tipo di confronto pubblico a cui siamo abituati. Normalmente quando si parla di riuso gli attori coinvolti sono i soggetti sociali ed economici più strettamente associati a questo tipo di dinamiche: centri di riuso, mercatini, rigattieri, responsabili di società di raccolta di rifiuti, funzionari che si occupano di ambiente. Anche l’andamento degli incontri è spesso piuttosto scontato: si raccontano buone pratiche, si presentano progetti più o meno validi, si rivendicano cambiamenti, nell’organizzazione della raccolta, nella selezione dei beni ancora recuperabili, nelle norme e nel fisco. Sono tutte tematiche molto importanti e centrali per il mondo del riuso. Eppure pensiamo che abbiano finito per rinchiudere le dinamiche del riuso in un orizzonte di senso troppo ristretto. È vero, infatti, che riusare è più sostenibile che riciclare o di costruire a partire da materia vergine. Ma riusare è anche molto altro, perché ad esempio, sostiene una quantità di attività economiche che abbiamo sempre intorno a noi e che consideriamo poco: tutte le attività di riparazione, il calzolaio il sarto il meccanico, il riparatore di elettrodomestici, il riparatore di biciclette; tutte le attività collegate al commercio di beni usati (su queste normalmente siamo più preparati e le riconosciamo con facilità nell’universo del riuso); tutte le attività collegate o collegabili alla rigenerazione, dalla rigenerazione di elettrodomestici al riuso di parti di ricambio ricavate dal processo di autodemolizione; tutte le attività collegate all’upcycling, quell’insieme di attività di progettazione e costruzione che consente di costruire nuovi oggetti a partire da materiali e componenti troppo degradati per svolgere il compito per cui erano stati prodotti.

Osservato con questo spettro più ampio, il riuso può emergere dal cono d’ombra dell’ambientalismo e diventare una questione generale, e “I volti del riuso” è stata per noi un’occasione per provare a ragionarci sopra in altri termini.
Per questo motivo abbiamo invitato (al workshop del mattino), insieme a quei soggetti normalmente collegati al mondo del riuso, anche docenti universitari, rappresentanti di categorie economiche, esperti di comunicazione, animatori culturali. E per queste stesse ragioni abbiamo chiesto a ognuno di loro di far parte di un tavolo dove discutere di una singola questione, una domanda, su cui, eravamo certi, nessuno avesse una risposta certa e consolidata. Abbiamo cioè chiesto di accettare uno spiazzamento, di togliersi, almeno momentaneamente, gli occhiali con cui osserviamo di solito i fenomeni e di cercare nuove connessioni.

Non è stato facile e non è facile chiedere a esperti di collocarsi in un contesto pubblico come il workshop, con sguardo libero e aperto alla sorpresa. Ognuno dei partecipanti, pertanto, potrebbe (ma questo ce lo diranno quando invieremo loro la relazione) aver vissuto con disagio la conversazione.
Un altro elemento critico, che noi consideriamo come una risorsa, sono gli approcci e le competenze molto diverse presenti ai vari tavoli.

Infine, le domande su cui abbiamo chiesto ai nostri ospiti (Valentina Battiloro, Cristian Campagnaro, Vania de Preto, Giuseppe Mazza, Amina Pereno e Roberto Tognetti, grazie ancora per esservi prestati) di animare il confronto:

1. IL RIUSO COME VALORE: come viene comunicato e percepito attualmente e come si potrebbe ridefinire la questione?
2. CENTRI DEL RIUSO E LAVORO: quali sono le condizioni necessarie affinché possano nascerne di nuovi e sopravvivere quelli esistenti? Come si possono misurare e valorizzare gli impatti economici e sociali?
3. IL RIUSO E L’ECONOMIA CIRCOLARE: come si pone il riuso nel contesto più ampio dell’economia circolare e come può evolvere all’interno di questo sistema?

Man mano che il confronto andava avanti vedevamo emergere nei volti dei partecipanti lo stupore: ma come, non dobbiamo comunicare il valore dell’ambiente? Ma come, l’ambiente è considerata una cosa da sfigati? E allora come si fa? Oppure: come sarebbe a dire che la riduzione dei rifiuti non è l’unico, e forse nemmeno il principale, risultato perseguito e raggiunto dai centri di riuso? Allora di cosa stiamo parlando (avrà probabilmente pensato qualche gestore dei rifiuti); E ancora: come sarebbe a dire che il riuso per come lo conosciamo è un insieme di pratiche dell’economia lineare e se vogliamo pensare in termini circolari, dobbiamo ripensare costrutti, valori, schemi di riferimento? In che senso?

Tutto questo per dire che da “I volti del riuso” non abbiamo tirato fuori risposte definitive, forse qualche pista di approfondimento però sì. Ve lo racconteremo meglio prossimamente, quando avremo la relazione e quando ci saremo confrontati un po’ più a fondo.

In questo momento vi restituiamo solo alcune delle suggestioni emerse:
1. Quando parliamo di riuso non stiamo parlando di rifiuti: né di rifiuti prodotti, né di rifiuti evitati, stiamo parlando di beni, di valore, di lavoro;
2. Il valore che si genera, con il riuso, è economico, e non solo economico. La maggior parte delle esperienze di riuso che osserviamo è connessa anche ad altri valori, sui quali dovremo diventare capaci di costruire, che dovremmo imparare a raccontare, su cui dovremmo imparare a verificare l’efficacia. Solo per fare qualche esempio: i mercati storici come il Balon, ma anche i mercatini dell’usato in genere, le esperienze di cooperazione sociale dei centri di riuso puntano sulla socialità, sul gusto della ricerca e della scoperta, sull’effetto nostalgia, sul gusto di fare e riparare da sé, sul costruire percorsi di integrazione, inclusione sociale, sul generare lavoro. È probabile (è un’ipotesi), che alcune di queste variabili siano comuni anche ad altri ambiti del riuso. Ci chiediamo oggi: e se riuscissimo a trovare delle chiavi di lettura capaci di mettere in connessione buona parte di queste esperienze? Se riuscissimo, grazie a questo, a progettare l’ecosistema adeguato ad accogliere, sostenere, sviluppare, proprio tali aspetti, uscendo dalle strettoie della riduzione dei rifiuti? E cosa significa generare un ecosistema? Operare al livello delle leggi, del fisco, del sostegno all’impresa, all’intersezione tra assessorati all’ambiente, alle politiche sociali, alle attività produttive e innovazione, e così via.

In attesa che nuove riflessioni e suggestioni maturino, ne approfittiamo per ringraziare tutti quanti (eravamo circa 80, molti di più dei 50 attesi, provenienti da varie zone d’Italia e qualcuno persino da Reggio Calabria), hanno partecipato al workshop del mattino e tutti coloro che sono intervenuti al pomeriggio (speriamo che non sia stato troppo complicato connettere tra loro le riflessioni emerse dai tre tavoli). A questo punto è tutta nostra la responsabilità di valorizzare l’esperienza che abbiamo fatto insieme e proseguire il percorso appena iniziato. Rompeteci le scatole se vi pare che lo stiamo trascurando.

Per il tavolo del riuso
Antonio Castagna,
referente del workshop;
Pierandrea Moiso,
coordinatore del tavolo del riuso.