Il 16 giugno 2017, un anno fa, si svolgeva l’incontro “I volti del riuso”. Per il Tavolo del Riuso fu la prima uscita pubblica. In questo articolo proponiamo una sintesi di quanto emerso allora dai gruppi di lavoro. Un punto di partenza utile in vista dell’evento che il Tavolo ha in cantiere per il prossimo autunno.

“I volti del riuso” è stata una proposta piuttosto atipica, rispetto al tipo di confronto pubblico a cui siamo abituati. Normalmente quando si parla di riuso gli attori coinvolti sono i soggetti sociali ed economici più strettamente associati a questo tipo di dinamiche: centri di riuso, mercatini, rigattieri, responsabili di società di raccolta di rifiuti, funzionari che si occupano di ambiente. Anche l’andamento degli incontri è spesso piuttosto scontato: si raccontano buone pratiche, si presentano progetti più o meno validi, si rivendicano cambiamenti, nell’organizzazione della raccolta, nella selezione dei beni ancora recuperabili, nelle norme e nel fisco. Sono tutte tematiche molto importanti e centrali per il mondo del riuso. Eppure pensiamo che abbiano finito per rinchiudere le dinamiche del riuso in un orizzonte di senso troppo ristretto. È vero, infatti, che riusare è più sostenibile che riciclare o di costruire a partire da materia vergine. Ma riusare è anche molto altro, perché ad esempio, sostiene una quantità di attività economiche che abbiamo sempre intorno a noi e che consideriamo poco: tutte le attività di riparazione, il calzolaio il sarto il meccanico, il riparatore di elettrodomestici, il riparatore di biciclette; tutte le attività collegate al commercio di beni usati (su queste normalmente siamo più preparati e le riconosciamo con facilità nell’universo del riuso); tutte le attività collegate o collegabili alla rigenerazione, dalla rigenerazione di elettrodomestici al riuso di parti di ricambio ricavate dal processo di autodemolizione; tutte le attività collegate all’upcycling, quell’insieme di attività di progettazione e costruzione che consente di costruire nuovi oggetti a partire da materiali e componenti troppo degradati per svolgere il compito per cui erano stati prodotti.

Osservato con questo spettro più ampio, il riuso può emergere dal cono d’ombra dell’ambientalismo e diventare una questione generale, e “I volti del riuso” è stata per noi un’occasione per provare a ragionarci sopra in altri termini.

Per questo motivo abbiamo invitato (al workshop del mattino), insieme a quei soggetti normalmente collegati al mondo del riuso, anche docenti universitari, rappresentanti di categorie economiche, esperti di comunicazione, animatori culturali. E per queste stesse ragioni abbiamo chiesto a ognuno di loro di far parte di un tavolo dove discutere di una singola questione, una domanda, su cui, eravamo certi, nessuno avesse una risposta certa e consolidata. Abbiamo cioè chiesto di accettare uno spiazzamento, di togliersi, almeno momentaneamente, gli occhiali con cui osserviamo di solito i fenomeni e di cercare nuove connessioni.

Non è stato facile e non è facile chiedere a esperti di collocarsi in un contesto pubblico come il workshop, con sguardo libero e aperto alla sorpresa. Ognuno dei partecipanti, pertanto, potrebbe aver vissuto con disagio la conversazione.

Un altro elemento critico, che noi consideriamo come una risorsa, sono gli approcci e le competenze molto diverse presenti ai vari tavoli.

Infine, le domande su cui abbiamo chiesto ai nostri ospiti (Valentina Battiloro, Cristian Campagnaro, Vania de Preto, Giuseppe Mazza, Amina Pereno e Roberto Tognetti) di animare il confronto:

IL RIUSO COME VALORE: come viene comunicato e percepito attualmente e come si potrebbe ridefinire la questione?

CENTRI DEL RIUSO E LAVORO: quali sono le condizioni necessarie affinché possano nascerne di nuovi e sopravvivere quelli esistenti? Come si possono misurare e valorizzare gli impatti economici e sociali?

IL RIUSO E L’ECONOMIA CIRCOLARE: come si pone il riuso nel contesto più ampio dell’economia circolare e come può evolvere all’interno di questo sistema?

E questa di seguito è una sintesi di quanto emerso nei singoli gruppi.

  1. IL RIUSO COME VALORE: come viene comunicato e percepito attualmente e come si potrebbe ridefinire la questione?

Tavolo animato da Roberto Tognetti, Architetto, coautore con Giovanni Campagnoli di “Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali”; e Giuseppe Mazza, pubblicitario, fondatore dell’agenzia Tita, di Milano, editore della rivista “Bill Magazine: un’idea di pubblicità”, studioso dei risvolti civili nel linguaggio pubblico.

Il confronto è partito dalla condivisione di alcuni presupposti. Tanto per cominciare, di cosa parliamo quando parliamo di riuso:

Riuso di luoghi e spazi;

Riuso degli oggetti;

Riuso dei dati.

Possiamo inoltre affermare che le pratiche del riuso si generano a seguito di spinte e con motivazioni diverse:

  1. Visione e autodeterminazione, nel caso di chi fa queste cose per bisogni emergenti, riconoscendo un valore al riuso;
  2. Necessità, nel caso di chi, capita talvolta alle giunte locali, si rende conto di avere a disposizione spazi il cui non utilizzo può generare problemi (degrado, occupazioni abusive, perdita di valore, costi, ecc.);
  3. Scoperta, ad esempio, il testo scritto da Tognetti e Campagnoli, Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start-up culturali e sociali, edito da Il sole 24ore, è uscito nel 2014 e riporta dati risalenti al 2012/2013. Molti stanno cominciando adesso a scoprire l’esistenza del libro e forse a rendersi conto che nel riuso c’è qualcosa di inesplorato;
  4. Senso, significato, identità, in questo caso il riuso ha un significato doppio perché coniuga il Ri come prefisso reiterativo, che induce alla visione del futuro e l’uso di qualcosa che esisteva già, che è connessa con il passato, dunque alla memoria e al senso di identità di una comunità;
  5. Modellazione, si parla tanto di replicabilità che però non è sinonimo di uguale. Prendiamo ad esempio una villa, uno spazio verde, che a determinate condizioni potrebbe ospitare un chiosco, uno spazio per i bambini o altro, a seconda del contesto. La legge è quasi sempre un ostacolo. Bisogna agire per gradi, conquistare spazi di cittadinanza in modo incrementale.
  6. La parola comunicazione, la radice munus indica l’esistenza di un bene concreto. Quando noi parliamo di comunicazione dovrebbe essere di passaggio di beni come intendevano i latini. Churchill ringrazia l’aviazione dicendo: “Mai pochi hanno fatto tanto per così tanti”. Mentre Lincoln scrive ai suoi concittadini: “volevo scrivervi una lettera breve ma non ho avuto il tempo”. In tutti e due i casi al centro c’è qualcosa di concreto da condividere. Churchill, infatti, non dice che “dobbiamo tutto all’aviazione”, generando così un linguaggio enfatico, privo di distinzioni, emotivamente carico ma fondamentalmente falso. E Lincoln quasi chiede scusa, propone un patto, chiede permesso. Il riuso ancora di più del riciclo contraddice lo statuto di merce, lo aggiorna. Noi siamo abituati a ragionare di comunicazione come veicolo per le merci, ma se usiamo i mezzi per replicare messaggi propagandistici non andiamo da nessuna parte. Siamo impegnati piuttosto a utilizzare la comunicazione per generare cambiamento. Come è stato ad esempio nella campagna per il No in Cile in occasione della campagna elettorale post Pinochet (vedi il film NO. I giorni dell’arcobaleno, di Pablo Larraìn, 2012). In Italia lo slogan è visto solo come banalizzazione. Ma se vogliamo dare valore collettivo al riuso dobbiamo essere capaci di sintetizzare. Dobbiamo essere un imbuto, una goccia. È un’illusione pensare comunicare qualcosa che non ha dentro una verità. I bambini imparano se si divertono. Lo stesso per la comunicazione. Il munus qual è? In comune abbiamo una verità, se riusciamo a isolarla.

La conversazione, come prevedibile, ha preso un andamento quasi da brainstorming alla ricerca del munus, della verità da condividere, capace di racchiudere il concetto di riuso in tutte le declinazioni che abbiamo osservato. Infatti, se nel caso degli oggetti di alta gamma (l’orologio d’oro del nonno, la villa al mare, ecc.) è il valore patrimoniale al centro dell’attenzione, in altri casi i valori messi in gioco sono altri.

Nel caso del riuso in senso esteso abbiamo innanzitutto il bisogno di liberarci di due connessioni, quella con il riciclo, per prendere le distanze da una pratica che non coinvolge il cittadino e non agisce sullo statuto dei beni, e dallo statuto di merce.

Un concetto che può venire utile è quello di condivisione, riuso come condivisione. Ma appare subito evidente che condividere è più facile dove c’è un senso di comunità, che il concetto non riesce a far leva quando le relazioni sono lasche e le persone vivono in comunità di appartenenza diverse. Inoltre il riuso riguarda una disponibilità di luoghi e oggetti che fonda la propria ragion d’essere sulla variabilità, sulla non standardizzabilità. Pensiamo al flusso di abiti usati nel mercato dell’usato. È vero che sono frutto di processi industriali standard, ma la tipologia di beni, la loro qualità e valore residuo, la taglia, non sono aspetti prevedibili come nella filiera del nuovo. Se merce = standard, riuso = non standard, ma come si fa ad esprimerlo e comunicarlo come un valore? Quindi, se nell’ambito della merce funziona il “pago prentendo”, nel riuso posso accettare di partire da una cosa non preformata.

Esistono delle suggestioni poetiche, ad esempio nella letteratura per l’infanzia. Toy Story, ad esempio, è una grande saga del riuso. Dono del riuso ad altri bambini. Scopriamo così che dentro la merce ci sono valori sentimentali. Nella letteratura gli oggetti hanno vita. Oggi Pixar ha dato a questa dinamica una veste industriale. Se compro giocattolo Pixar hanno tutti il nome. C’è dentro un’idea un po’ magica. Così come ha a che fare con la magia la pratica di acquistare, ad esempio, un’anta di una porta, aspettando di scovare la gemalla, magari dopo anni, in un mercatino dell’antiquariato. Intorno a questo aspetto caratterizzato dall’assenza di standard, dall’attesa, dalla storia specifica dell’oggetto, probabilmente dovremo lavorare in futuro. Quello che stiamo cercando di portare a casa per superare le barriere nel valore del riuso è dare per acquisito il tema della condivisione, cercando però, dentro questo contesto, qualcosa che sia più stringente.

2. CENTRI DEL RIUSO E LAVORO: quali sono le condizioni necessarie affinché possano nascerne di nuovi e sopravvivere quelli esistenti? Come si possono misurare e valorizzare gli impatti economici e sociali?

Gruppo di lavoro animato da Vania de Preto, Responsabile tecnico della cooperativa “Insieme” di Vicenza, che gestisce il più grande centro di riuso presente in Italia, Valentina Battiloro e Francesca Anglois dell’Associazione ASVAPP – analisi e valutazione delle Politiche Pubbliche che si occupano di valutazione dell’efficacia dell’azione sociale.

Le risorse economiche vengono dalle risorse sociali e non il contrario

Amartya Sen

Vania De Preto introduce il tema dichiarando l’obiettivo di riflettere con occhio disincantato su quali sono i risultati che è lecito attendersi da organizzazioni come i centri di riuso, in termini di impatto sociale ed economico e in termini di risultato economico e presentando l’esperienza della cooperativa e del Centro del Riuso di Vicenza.

I principi alla base dell’esperienza:

  • Confronto
  • Inclusione
  • Opportunità
  • Esperimento

Gli obiettivi sono quelli di coniugare la centralità della persona con la centralità dell’ambiente e della cultura; favorire lo sviluppo di connessioni fra gli aspetti di significato personale e quelli collettivi; riconvertire le politiche sociali ad uno sviluppo economicamente sostenibile.

Il centro di riuso si colloca dentro a questa visione: la cooperativa occupa complessivamente 140 lavoratori, di cui 70 svantaggiate. Tra di loro non ci sono disabili fisici per questioni legate al tipo di lavoro proposto, per il resto la tipologia di lavoratori inclusi è molto varia.

I soci responsabili (non svantaggiati) sono 50, con esperienze e competenze molto diverse. Serve curiosità sul tema dell’ambiente, non cerchiamo competenze qualificate, serve avere voglia di mettersi in gioco sulla sostenibilità ambientale e anche di mettere le mani nei sacchi dell’immondizia, perché spesso lavoriamo con i rifiuti. Occorre disponibilità alla relazione con l’altro e la persona in difficoltà. La complessità è data dal tenere insieme obiettivi economici ed obiettivi di percorso delle persone. Infatti il lavoro è insieme un modo per fare accompagnamento educativo, ma connesso a questo c’è anche il tema della sostenibilità economica e del servizio al cliente.

Un breve glossario per cominciare e condividere alcune informazioni di base:

La definizione di Centro di riuso non è unitaria. Ci sono esperienze diverse che vanno dal semplice magazzino di oggetti usati e messi a disposizione di nuovi utilizzatori (fruitori o clienti), al centro che gestisce beni e rifiuti (autorizzato alla gestione dei rifiuti non pericolosi che arrivano dalla filiera del rifiuto urbano), da donazioni private o Centri di raccolta comunali. Il Centro del Riuso di Vicenza è unico nel suo modello misto, capace di intercettare beni dai centri di raccolta comunale e di accogliere, contestualmente, un flusso di donazioni da privati.

Tutto ciò che esce da un centro di raccolta comunale è rifiuto. Questo vuol dire che deve farlo secondo un formulario e processi di rendicontazione definiti. Significa inoltre che, per diventare nuovamente beni ed essere immessi sul mercato, i rifiuti provenienti da un centro di raccolta possono essere intercettati solo da un impianto di gestione rifiuti autorizzato alla “preparazione per il riutilizzo”.

In alcuni casi è possibile che materiali conferiti, sotto forma di donazione, dai privati cittadini ai Centri di raccolta comunale, vengano trattenuti in aree specifiche in cui mantengono la loro denominazione di bene e possono essere intercettati prima che diventino rifiuto e quindi possano ancora essere lavorati come beni.

Le operazioni affinché un rifiuto possa essere trattato nuovamente come bene sono definite come “preparazione per il riutilizzo”. Tuttavia la normativa nazionale non è ancora completa, in mancanza di decreti attuativi che ne specifichino le modalità, e non sono disponibili chiare indicazioni sul come debbano essere gestiti questi conferimenti.

A Vicenza il dialogo con le istituzioni locali ha permesso di definire i processi per compiere la “preparazione per il riutilizzo” ed è stata riconosciuta l’autorizzazione ad operare. Questo fa sì che il materiale intercettato nei centri di raccolta comunali, invece di essere inviato allo stabilimento di riciclo o smaltimento, venga indirizzato al Centro di Riuso.

Questa specificità permette alla Cooperativa Insieme di aggiungere alla gestione del Centro di Raccolta Comunale anche la possibilità sottoscrivere accordi con la municipalizzata per la preparazione al riutilizzo e quindi la possibilità di accedere alla selezione dei materiali nel centro di Raccolta.

Differente è la situazione in altre città dove il dialogo intorno alle procedure non si è avviato o si è bloccato in attesa che venisse definita la legge. In Piemonte, ad esempio, la situazione è tale per cui il riuso è tollerato ma non autorizzato. La situazione del Centro di Via Arbe a Torino è peculiare nel senso che ad oggi al cittadino viene comunicata la possibilità che sia lui a scegliere se conferire all’Ecocentro o al Centro di Riuso, che si trova nello stesso perimetro ma con ingresso distinto tale da non consentire confusione tra la funzione del centro di raccolta e quella del centro di riuso. Ciò che il cittadino conferisce al centro di raccolta diventa automaticamente rifiuto e non ne può uscire se non a cura di soggetto autorizzato ma indirizzato esclusivamente ai centri di smaltimento. Negli altri centri di raccolta comunali, invece, la possibilità di conferire al centro di riuso non viene comunicata, semplicemente perché il centro di via Arbe è l’unico che si è dotato di uno spazio distinto a cui conferire i beni riutilizzabili.

Elementi sulla operatività

Dal 2010 la qualità dei conferimenti agli Ecocentri comunali inizia ad abbassarsi e diventa più importante per il gestore del Centro di Riuso aumentare il volume del recupero dei beni dai centri di raccolta per poter fornire i 4 negozi operativi: ridurre ciò che diventa rifiuto intercettandolo come bene. Questo richiede di migliorare la struttura organizzativa e gestionale della cooperativa e anche parallelamente la necessità di definire e sviluppare il circuito commerciale per i diversi tipi di materiali valorizzabili. La prima scelta, quella con più valore di mercato, dell’usato è una fetta molto piccola di tutto ciò che si intercetta, la vera difficoltà è quella di piazzare o valorizzare tutti i materiali raccolti (la seconda scelta, la terza scelta e la materia prima seconda) cercando di ridurre il più possibile lo scarto vero e proprio che andrà a smaltimento perché non valorizzabile.

Numeri: relativamente ad un centro di raccolta comunale, pur facendo un importante lavoro di intercettazione dei beni conferiti, si riesce a raccogliere tra il 3% e il 5% del materiale che entra nel centro di raccolta. Da questa percentuale deriva poi il materiale disponibile per la vendita.

Quali indicatori per valutare il progetto

Ad oggi risulta difficile valutare il progetto, per carenza di indicatori specifici e perché il Centro di Riuso è un ampliamento delle attività più ampie della Cooperativa Insieme, di conseguenza la valutazione di costi e ricavi specifici è stata difficile. Non è scontato scegliere quale è il confine tra il Centro di Riuso e tutto il resto delle attività della Cooperativa.

Il risultato economico del primo anno di sperimentazione non è stato positivo. Tuttavia l’avvio di questo settore operativo ha consentito a molte delle attività della Cooperativa Insieme nel suo complesso di procedere e trovare nuove fonti e sbocchi. Se non avessero adottato l’attuale modello di gestione del centro di riuso, infatti:

Si sarebbe generato il problema per i 4 negozi dell’usato gestiti direttamente di reperire nuovi materiali per la vendita, sollecitando nuovi potenziali clienti;

Sarebbero sorti problemi rispetto alla possibilità di immagazzinare materiali nel rispetto delle norme specifiche;

Si sarebbe creata la necessità di promuovere presso la cittadinanza l’aumento del conferimento di beni.

Anche grazie all’avvio di questo settore, il bilancio generale della Cooperativa Insieme è tornato ad essere positivo. Per questo, nell’economia complessiva dell’organizzazione definiamo il progetto sostenibile.

Domande aperte: Fino a che punto ha senso intercettare materiali?

Bisognerebbe avere la capacità di misurare il valore dell’oggetto e il suo mercato per valutare quanto il suo recupero sia economicamente sostenibile. Ad esempio, nel negozio della Cooperativa Insieme c’è un cesto pieno di scatoline di fiammiferi messe in vendita a €0,10 l’una. L’offerta di questo cesto ha richiesto molto lavoro di recupero, ripristino, ed esposizione. Il ricavo dalla vendita di tutte le scatoline probabilmente non coprirà mai i costi sostenuti per metterle in vendita. Tuttavia il recupero di questi fiammiferi e la loro esposizione insieme ad altri oggi presenti in negozio, consentono di stimolare la fantasia e la curiosità per quel luogo, fattori che mettono certamente in moto molti altri processi ad impatto positivo (non solo economico) ma che oggi non si riesce a misurare se non nei seguenti aspetti:

  • Permette di fare inserimento lavorativo;
  • Attira in negozio 400 potenziali clienti nella giornata del sabato;
  • Aiuta nello storytelling sulla città che vorrei.

L’esercizio di sostenibilità è comunque sempre più difficile, una vera e propria sfida: servono investimenti economici, capacità organizzative, competenze specifiche ed elevate, come ne caso del collaudatore e riparatore di apparecchiature elettroniche, del falegname capace realizzare progetti di recupero creativo di mobili in tempi celeri e coinvolgendo persone svantaggiate nel processo di reinserimento lavorativo.

Nel proprio bilancio sociale la Cooperativa Insieme ha cercato di misurare le risorse sociali che complessivamente si riescono a riattivare con interventi come quello di Vicenza: questo è un fattore fondamentale della valutazione di impatto del progetto che dovrebbe poter essere valorizzato anche ai fini della sua sostenibilità:

  • 100 unità le presenze medie giornaliere di persone svantaggiate (in tutta la cooperativa);
  • 900 ore annue di monitoraggio dei percorsi di reinserimento;
  • 3500 ore annue di coordinamento educativo dei percorsi;
  • 51000,00 € in borse lavoro;
  • 20.000,00 € di contributi
  • 96.000,00 € di convenzioni per accompagnamento

Come è iniziato?

La cooperativa esiste da 35 anni. Cominciammo come volontari intercettando pezze di tessuto, da rigenerare e mettere a disposizione della cittadinanza.

Il Centro di riuso per come lo conosciamo adesso è nato recentemente, grazie alla implementazione conseguente al progetto europeo Prisca che ne ha sostenuto la nascita, ma lo ha fatto potendo contare su una base di operatività e struttura già esistente, che ha messo a disposizione la rete commerciale, la filiera di raccolta e di distribuzione.

Se si dovesse iniziare da zero ad avviare un Centro del Riuso si dovrebbe certamente poter contare su risorse economiche importanti.

Grazie al Progetto Europeo sono state fatte valutazioni sulle potenzialità del territorio in termini di conferimenti a partire dai Centri di Raccolta Comunali, anche in termini di tipologia, qualità, condizioni e quantità del conferito al fine di definire un business plan e costruire processi solidi.

Il lavoro del Centro del Riuso in riferimento alle tipologie di beni che tratta è piuttosto vario per stagionalità e anche per la moda che influenza le richieste del pubblico. È necessario adottare flessibilità nella intercettazione dei materiali e tenere sempre d’occhio cosa si sta dimostrando meglio vendibile di altro in un dato momento e periodo dell’anno. Anche l’azione di conferimento di beni usati, sotto forma di donazioni, va stimolata, così come l’abitudine all’acquisto. La ricerca dell’equilibrio di sostenibilità è composta da molti fattori su cui lavorare in parallelo.

Quale tipo di lavoro produce?

Si è detto prima della impossibilità di scindere perfettamente tra la creazione di lavoro del Centro del Riuso rispetto a quella più generale della cooperativa Insieme. Tenendo uniti i due livelli, il lavoro in cooperativa si descrive usando due macro insiemi:

  • I lavoratori responsabili (circa 50 persone) che si distinguono per competenze importanti, lunga esperienza e bassissimo turnover, il che consente di ridurre l’impatto formativo nel tempo, riducendolo a quello di aggiornamento
  • I lavoratori svantaggiati (circa 140 persone) che fanno riferimento a moltissime categorie diverse di svantaggio (unica preclusione l’inserimento di disabili fisici) e per i quali è strutturale un altissimo turnover motivato dal fatto che la Cooperativa Insieme si occupa di percorsi per il reinserimento sociale e non tanto lavorativo. Questo prevede la definizione di percorsi formativi interni su mansioni semplici e velocemente acquisibili (per esempio lo spolvero, la divisione dei beni per macro categorie), in raccordo con i Centri Diurni gestiti nell’ambito dei servizi socio-educativi e assistenziali e con progetti sanitari sostenuti dalle ASL. I percorsi sono quindi tendenzialmente brevi.

Quale relazione con il contesto civile e produttivo locale?

Il Centro del Riuso della Cooperativa Insieme è anche un importante centro culturale sui temi ambientali e un centro di aggregazione per la collettività: si organizzano mediamente 100 serate a tema aperte al pubblico. Infatti, è strategico veicolare i valori e la consapevolezza in riferimento al donare e al riuso, sostenendo la scelta dei privati al conferimento al Centro del Riuso piuttosto che alle catene commerciali dell’usato.

Con il mondo produttivo profit ancora non si è consolidata una buona relazione di filiera. Il Centro dei Riuso intercetta alcune eccedenze di lavorazione dalle aziende ma questo in realtà mette in difficoltà il modello attuale del Centro del Riuso che si trova a dover stoccare e commercializzare grandi quantità di poche tipologie di prodotti: il mercato difficilmente le assorbe. Quello che ancora manca è una rete con i grandi processi industriali orientati al riuso di materie o all’uso industriale di prodotti di scarto da lavorazione.

Quali indicatori di impatto?

Per valutare la sostenibilità di un Centro di riuso è necessario innanzitutto domandarsi quali siano gli effetti attesi e auspicati, quali di questi siano misurabili e quali siano le dimensioni e gli indicatori utili da misurare.

Emerge il bisogno di nuovi indicatori, cioè di identificare gli aspetti da mettere in evidenza per poter valutare compiutamente il progetto, ed è necessario altresì comprendere quali sono gli strumenti adatti a superare le difficoltà di isolare, descrivere e misurare variabili che sono spesso di carattere meramente qualitativo e strettamente intrecciate con altre all’interno di un sistema sociale dinamico.

Dal confronto sono emersi alcuni elementi:

  • Le professioni che possono essere rilanciate, o create;
  • I posti di lavoro per categorie svantaggiate o le competenze che possono essere rigenerate;
  • Il valore sociale dei processi di reinserimento di persone svantaggiate;
  • Il differenziale di costo tra il reinserimento lavorativo e altri tipi di intervento sociale sulla popolazione svantaggiata coinvolta;
  • Il valore della riparazione: etico ed economico, nei termini del risparmio generato per i privati e per i processi produttivi.

Anche le modalità di calcolo della raccolta differenziata e del riuso andrebbero riconsiderati. Ridurre la produzione dei rifiuti, infatti, riduce la capacità dei sistemi di fare, e contabilizzare, la raccolta differenziata, peggiorando così (almeno apparentemente) le prestazioni del sistema di raccolta. Anche per questo motivo a livello locale si registrano fenomeni di resistenza all’attivazione di processi come l’autocompostaggio e il riuso. Così come sarebbe opportuno comprendere meglio quali sono le tipologie dei beni conferiti, la loro qualità e riutilizzabilità. Un altro elemento spesso nominato ma sfuggente riguarda le ricadute in termini di cultura, consapevolezza e competenza generati nella cittadinanza e nel contesto, non solo sul tema ambientale, ma anche su quello sociale, visto che i Centri di riuso possono essere anche luogo di integrazione, dialogo e incontro.

Altri aspetti da migliorare possono essere:

Creare dei sistemi incentivanti il riuso e l’utilizzo dei Centri del Riuso da parte della cittadinanza. Vanno escogitati sistemi incentivanti che non impattino su una diversa ripartizione dei costi del servizio di raccolta e smaltimenti rifiuti, in quanto il riuso non riduce certo il costo del servizio di raccolta. Quindi immaginare un semplice trasferimento di risorse dalla raccolta al riuso è impossibile. Bisogna pensare quindi a incentivi di tipo diverso.

  • Va migliorata la competenza normativa sui Centri di riuso;
  • Va migliorata la sostenibilità economica dell’intervento e la sua scalabilità.

Per ottenere questi risultati serve:

  • Promuovere il dialogo trasversale tra settori amministrativi in relazione al tipo di intervento, viste le molteplici ricadute che questo può avere.
  • Mettere in condivisione le banche dati dei diversi settori pubblici e utilizzarle per monitorare i livelli di autonomia delle persone svantaggiate coinvolte nei diversi percorsi, anche per poterne valutare gli effetti nel medio lungo periodo.
  • Chiarire la terminologia implicata in questi tipi di interventi: rifiuto, preparazione al riuso e riuso.

Se i Centri del Riuso, infatti, sono il luogo in cui si opera per rendere riutilizzabile il rifiuto, riducendone il volume, il riuso implica aspetti molto più ampi tra cui quello solidaristico, comportamentale ed etico, ed ha una filiera ancora in gran parte da esplorare.

Servono, inoltre:

  • Processi capaci di intercettare quello che il cittadino già oggi riusa e conferisce in molti modi in luoghi diversi e diffusi, oltre ad intercettare il bene 5 metri prima del Centro di Raccolta;
  • Modificare il processo di filiera e creare mercato per materie prime provenienti dal riuso (esempio il riuso dei materiali edili);
  • Evidenziare gli aspetti economici che una tale filiera del riuso apporterebbe

3. IL RIUSO E L’ECONOMIA CIRCOLARE: come si pone il riuso nel contesto più ampio dell’economia circolare e come può evolvere all’interno di questo sistema?

Tavolo animato da Amina Pereno, research fellow presso il Politecnico di Torino e unit project manager all’interno del progetto europeo RETRACE (programma Interreg Europe) e Cristian Campagnaro, docente del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino.

In che rapporto sta il riuso con l’economia circolare? Nelle definizioni, l’economia circolare è un nuovo modello economico.

Attualmente il modello è ancora quello lineare: produci-consuma-dismetti. Un tempo al termine di questo processo c’era la discarica, oggi non solo.

Il problema principale è che le soluzioni che abbiamo trovato fin qui, il riciclaggio, ma anche il riuso, probabilmente, sono una toppa – e non ancora una alternativa – al modello lineare.

Le cause che hanno generato la necessità di un nuovo modello sono abbastanza note: la crescente difficoltà di approvvigionamento e l’aumento dei prezzi delle commodities, delle materie prime.

Insieme a queste condizioni è cresciuta anche la coscienza ambientale.

Nella visione dell’economia circolare non si tratta più di mettere una pezza, ma di sostituire il sistema lineare con un modello alternativo. In quest’ottica, il rifiuto non esiste più, sostituito dal concetto di giacimento (o stock) di risorse disponibili.

L’economia circolare è una economia progettata per essere generativa e riparatoria, in cui si persegue il mantenimento dell’utilità e del valore di materiali, prodotti e componenti, in ogni momento della loro vita. Questo vuol dire che nel momento in cui si progetta il prodotto si pensa a tutti gli usi che potrà avere nel tempo lungo tutto il suo ciclo di vita. Si parla infatti di “uso programmato”.

L’approccio alla materia è detto “rinnovabile”: il rifiuto non è scarto ma risorsa (a livello industriale oggi si parla di eliminazione dello scarto e dell’idea stessa di rifiuto). La domanda che dobbiamo farci è come cambia l’idea di riuso se già a livello industriale si lavora per eliminarlo? Se il rifiuto è una risorsa, nell’economia circolare si lavora su come accelerare il passaggio dalla fine dell’uso del prodotto al riuso, all’interno di un ciclo integrato.

Il che vuol dire eliminare la fase intermedia di accumulo di materiali dismessi, che è invece una fase caratterizzante il riuso per come lo conosciamo attualmente.

Vale per qualsiasi prodotto composto da minerali trasformati e assemblati, così come vale per prodotti provenienti da flussi biologici, come il lavoro fatto qualche anno fa dal Politecnico di Torino sul fagiolo di Cuneo. In un contesto di produzione lineare gli scarti venivano utilizzati come compost, ma lavorando sui componenti chimici presenti nel baccello sono state prodotte fibre per la carta. Ragionare a monte significa non produrre accumuli di rifiuti, né quegli accumuli disordinati e imprevedibili tipici degli attuali mercati dell’usato. Se ragioniamo a monte, riusciamo a progettare usi diversi che possono avere ricadute economiche importanti.

Tale passaggio impone di non pensare più al riuso come meccanismo finalizzato a prolungare la vita di un oggetto. Al centro non sarà più l’oggetto, quanto alcune sue caratteristiche da mettere a valore. Il contrasto all’obsolescenza programmata, infatti, farà sì che sarà il fornitore stesso a occuparsi della manutenzione, in un modello di business come quello del prodotto come servizio. Anche l’obsolescenza semantica, quella che si produce quando il prodotto non è più di moda, in un’ottica circolare, conoscerà una trasformazione.

Eppure al momento tale orizzonte convive con numerose pratiche dove, invece, al centro è ancora l’oggetto, il tema della riparazione, del commercio basato sul valore d’uso residuale.

Quello dell’economia circolare è un orizzonte che può apparire lontano nel tempo ed è sicuramente distante dalle pratiche di riuso per come le conosciamo. Il rischio è quello di difendere una chiave di lettura del riuso residuale e difficile da comunicare a fasce più ampie della popolazione. Una sfida, ad esempio, è quella di collocare simbolicamente il riuso dentro il nuovo paradigma dell’economia circolare e non proporlo come una pratica specifica delle vecchie generazioni abituate a non buttare via mai niente, come nella vecchia metafora del maiale. Occorre per questo fare un lavoro di scomposizione che ci aiuti a passare dal bene alle sue funzioni, dal bene alle sue potenzialità viste in un’ottica di upcycling, o dal bene al valore o ai valori, ad esso connessi: la creazione di lavoro e di autonomia per soggetti svantaggiati, l’inclusione sociale, l’apprendimento di un lavoro, come suggerito nel gruppo di lavoro sul centro di riuso, ad esempio; oppure la creazione di situazioni di scambio dove predomina il valore relazionale. L’obiettivo da ora in avanti è di sviluppare qualche chiave di lettura inedita capace di confrontarsi con la prospettiva dell’economia circolare, evitando di difendere pratiche che in un sistema lineare sono forzatamente subordinate alle modalità dominanti di funzionamento del sistema economico e sociale.